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Il riscatto di Ringo Starr nel libro di Bacciocchi “Senza di lui non ci sarebbero stati i Beatles”. Il batterista, giornalista e blogger piacentino, nuova penna per Edizioni LOW

Ringo ha impersonato forse meglio di chiunque altro la “solitudine del batterista”, “sempre là dietro a osservare le spalle di chi si prende tutti gli applausi e i complimenti”. Nel suo caso ovazioni e urla erano per tre signori che si chiamavano John Lennon, Paul McCartney e George Harrison, ma è arrivato il momento di sfatare questa storia e di rendere a Ringo quello che è di Ringo.

Ha deciso di farlo Antonio “Tony Face” Bacciocchi, scrittore, blogger, soprattutto batterista, ammiratore del quarto componente dei Beatles, nel libro edito dalla casa editrice piacentina LOW Ringo Starr, batterista appena uscito nelle librerie e sulle piattaforme di e-commerce (si può ordinare online a questo link).

Volume leggero e allo stesso tempo documentatissimo che con dovizia di argomenti, anche tecnici, avanza la seguente tesi: senza il signor Richard Starkey non ci sarebbero mai stati i Fab Four. Lo abbiamo intervistato e ci siamo fatti raccontare i Beatles da un punto di vista diverso, quello del batterista. Il libro sarà presentato il 14 dicembre al circolo Belleri di Piacenza in una serata (dalle 18,30) tutta beatlesiana con altri due volumi e l’accompagnamento musicale dj set di Gianni Fuso Nerini.

Le parole di Antonio Bacciocchi sul suo Ringo Starr, batterista

Ecco qui la lunga intervista di Mauro Ferri di Piacenzasera.it al nuovo autore di Edizioni LOW.

Una domanda originale per cominciare. Perché un libro su Ringo Starr?

Perché sono migliaia e migliaia i libri sui Beatles, tantissimi su John, Paul e George, ma Ringo non se l’è mai filato nessuno, se non qualche biografia abbastanza limitata. Insomma, lui è sempre rimasto colpevolmente quello più in ombra. In realtà i Beatles sono esistiti perché ciascuno dei quattro ci ha messo il 25 per cento di se stesso e il loro successo è basato proprio su questo equilibrio; non soltanto sul genio di John e Paul, e sull’indiscusso l’apporto di George che è stato un grandissimo compositore.

Ringo ha composto assai poco rispetto agli altri tre, però senza la sua batteria non ci sarebbero stati i Beatles, per questo meritava il libro. Che è anche un atto d’amore personale verso il mio batterista e musicista preferito, colui che mi ha fatto desiderare di suonare quello strumento. E che riassume al meglio la parabola di chi proviene dalla working class e per emergere nella società ai tempi poteva sperare di essere un buon calciatore, pugile o musicista. In tanti anni non è cambiato molto, purtroppo.

Passi in rassegna tutte le canzoni del quartetto dal punto di vista di Ringo…

Sì, nel libro c’è un’accurata disamina delle sue opere soliste, purtroppo spesso qualitativamente mediocri ma nelle quali si trovano spesso piccole gemme che vale la pena di scoprire. E poi brano per brano dei Fab Four, passo in rassegna il suo modo di suonare. Che poi è un pretesto per raccontare la storia dei Beatles e della sua carriera, in maniera un po’ diversa dal solito, dal punto di vista della “solitudine del batterista”. Sempre là dietro a osservare le spalle di chi si prende tutti gli applausi e i complimenti.

Ringo è stato un grande batterista, non un virtuoso, non un tecnico, ma uno in grado di apportare una creatività incredibile, soprattutto ai Beatles. Più avanti nella carriera da solista e con le collaborazioni successive è stato molto più, diciamo, anonimo e questo conferma che la sua arte migliore è riuscito a esprimerla nel gruppo, perchè si compensavano e si arricchivano l’uno con l’altro.

Nuovo libro e nuovo autore per LOW: Ringo Starr, batterista e Antonio Bacciocchi
Antonio Bacciocchi e Ringo Starr, batterista nella redazione di Piacenzasera.it

Qual è stato l’apporto di Ringo allo straordinario repertorio beatlesiano?

Ringo è stato il batterista perfetto per i Beatles perché a fronte della creatività esuberante di John e Paul, di tutte le idee che ha portato George, ad esempio l’introduzione del sitar, della musica indiana e quant’altro, lui è stato semplicemente al suo posto. Si è detto: ‘io devo suonare per loro per il gruppo’ e lo ha fatto. Nell’esecuzione non esce mai da quello che richiede il singolo brano, asseconda e trascina gli altri strumenti che poi è il vero compito di ogni batterista. Anche se il rock che è venuto dopo ha proiettato talvolta questa figura quasi nel ruolo di solista, in realtà il batterista nella tradizione accompagna sempre ogni canzone, e lui ha rispettato la tradizione.

Se lo definiamo un grande gregario, come vedi questo appellativo?

E’ giustissimo, scorrendo la sua carriera nel gruppo, Ringo si cimenta coi brani del primo periodo che sono relativamente semplici e lineari secondo i canoni del rock and roll. Poi passa a eseguire brani più complessi, fino a un pezzo come ‘Here comes the sun‘ di George Harrison caratterizzato da una continua variazione di tempi, si va dai 7/4 ai 6/4 e poi ai 4/4. Inoltre la creatività sfrenata dei Beatles li ha portati ad esplorare mille generi, senza confini.

Ringo l’ha sempre assecondata suonando brani hard, brani blues, brani folk, brani country, brani jazzati con grande versatilità e ogni volta ha lasciato un’impronta sua. Passando ad esempio dallo stile swing anni ’30 di ‘When I’m Sixty Four‘ di McCartney all’hard rock di ‘Helter Skelter‘, sempre di McCartney, e interpretando alla perfezione ogni genere, la sua atmosfera senza sgarrare mai di un millimetro.

Cosa possiamo dire dei pochissimi brani composti da Ringo che hanno trovato ospitalità in alcuni album del quartetto?

Ha composto ‘Don’t pass me by‘, inciso sull’album bianco, e ‘Octopus’s Garden‘ su Abbey Road. Diciamo che il suo apporto compositivo è stato abbastanza modesto: pochi accordi e struttura semplice, e in alcuni casi canta. Perché i Beatles avevano un caratteristica imposta loro fin dall’inizio dal manager Brian Epstein: dovevano essere tutti e quattro alla pari.

Uguali nell’estetica, nel vestiario e anche nella produzione musicale. Così in ogni album c’è un brano cantato da Ringo perché anche lui doveva assolutamente apparire al livello degli altri. Dopo qualche tempo sono stati John e Paul a comporre i pezzi per lui e, considerando la sua scarsa estensione vocale, hanno sfornato brani ad hoc come ‘Yellow Submarine‘ che è il primo e unico 45 giri in cui Ringo canta.

E’ vera la storia che Ringo non avesse grandi qualità da strumentista?

Il libro analizza anche dal punto di vista tecnico il modo di suonare di Ringo, a partire dal fatto che negli anni sessanta non si registravano i pezzi musicali come al giorno d’oggi, con il metronomo e soprattutto con l’aiuto delle tecnologie che permettono di fare dei copia-incolla con i pezzi di brani. Essendo Ringo un batterista precisissimo e non avendo praticamente quasi mai sbagliato durante le registrazioni, il gruppo poteva fare affidamento su quattro o cinque take dello stesso brano, e lui aveva finto il suo lavoro. Così gli altri tre potevano lavorare sulla versione contando sulla sua estrema precisione, senza problemi di montaggio.

Nuovo libro e nuovo autore per LOW: Ringo Starr, batterista e Antonio Bacciocchi
Antonio Bacciocchi con Ringo Starr, batterista

Quali sono le canzoni nelle quali si coglie di più il valore di Ringo?

Direi che Ringo ha un’evoluzione tecnica ed espressiva costante fino al 1967. Elaborando sempre di più il suo modo di suonare la batteria, arrivando al culmine con l’album ‘Sergent Pepper’s’. Nel ’68 con l’album bianco invece succede che i Beatles sostanzialmente si dividono, ognuno compone per sé: allora per qualche settimana Ringo, mentre gli altri registrano nei vari studi (talvolta, nel caso di Paul, anche la batteria), se ne sta a giocare a carte con i fonici. Non è un caso che proprio in quell’album lui suoni lontano dai suoi standard migliori, evidentemente non si sentiva più parte del gruppo, le sue esecuzioni sono anonime, a volte ci sono pure dei colpi quasi sbagliati. Insomma non è lui.

L’anno successivo, con l’incisione di Abbey Road, quando ritorna un po’ di armonia nel gruppo, riprende a suonare alla grande. Secondo me ‘A Day in the life‘ dentro a ‘Sergent Pepper’s’ è una delle canzoni in cui Ringo dà il meglio, lo dice anche Phil Collins che è un batterista eccelso: ‘Provate a rifare che quello che fa lui lì’. C’è anche un altro brano che vale la pena citare, il lato B di ‘Paperback Writer’‘Rain’. Ringo dice che è stato il pezzo in cui ha suonato meglio in assoluto nella sua carriera e infatti è pazzesca la sua esecuzione.

Ringo non è stato solo il batterista dei Beatles, è stato anche attore e tante altre cose…

Sì, ha recitato in diversi film, ne parlo in una sezione del libro. Non dimentichiamo lo status di “personaggio” che ha saputo costruirsi Ringo. Acuto, intelligente, simpatico, pacifista, costante pacificatore delle diatribe all’interno dei Beatles, inguaribile nostalgico di quei tempi in cui erano amici per la pelle. L’unico ad avere mantenuto sempre cordiali rapporti con gli altri tre, ad avere collaborato ai loro dischi e avere ricevuto da loro sempre un’amorevole attenzione. A cui ha aggiunto una continua attività di beneficienza nei confronti di chi è più sfortunato.

L’articolo dedicato a Ringo Starr, batterista è ripreso da Piacenzasera.it

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