Un nuovo libro dal titolo “Frammenti” entra nel catalogo di Edizioni Officine Gutenberg e con lui entra una nuova scrittrice, Elisa Vezzulli.
Questo “Frammenti” è una raccolta di poesie nato, come spiega Elisa nell’intervista che segue, di slancio e in poche ore, ma che raccoglie tanti momenti e tante persone che Elisa porta dentro di sè.
Un viaggio dentro, fuori e attorno, a quella che in molti possono definire come “non normalità”, ma che invece è una condizione da esplorare attentamente per capire se questa “normalità” a cui spesso aspiriamo esiste per davvero. Ecco l’intervista a Elisa Vezzulli.
Elisa e Frammenti, qua l’intervista
Come e da dove nascono queste poesie che formano Frammenti?
Queste poesie nascono, non banalmente, dalla nostalgia e mancanza del mio lavoro durante il periodo di lockdown. La comunità Emmaus in quanto struttura residenziale è stata sempre aperta anche durante il periodo di maggiori restrizioni, tuttavia, dal momento che un mio familiare presentava sintomi del virus, sono rimasta isolata nella mia casa, anch’essa isolata, per un mese circa.
Fino ad esito negativo dei tamponi. I primi giorni sono stati duri. Non avevo nemmeno vicini di balcone. Ben presto ho iniziato però a trovare un sacco di cose da fare, di quelle che dici sempre “farò”, ma poi non fai mai. Per una volta pensavo solo a me, e stavo benissimo. Eppure, per la prima volta e tra tutti i lavori mai fatti, il mio lavoro era una delle cose che mi mancavano di più. Così ci pensavo. E pensavo e basta, che c’era appunto un sacco di tempo. Pensavo forse quasi più del solito ahimè! Pensavo, leggevo e sentivo… siti, giornali, trasmissioni… social… molti social.
Mi sono resa conto nel bagliore di un lampo di una cosa che accomunava tutti noi in quel momento, anche tutti gli altri che mi erano sempre sembrati “più normali di me”. Quel velo di normalità si stava sgretolando. Perché forse non l’avevamo mai guardata dal punto di vista più utile e funzionale alla vita stessa.
È stata come una rivincita. Di quelli che fino a ieri venivano etichettati come “non normali” perché semplicemente non riuscivano a stare nella frenesia e nella vanità della nostra “società liquida”. Eravamo tutti uguali. Lo siamo sempre stati. Ma in quel momento è stato chiarissimo più che in qualsiasi altro momento. Eravamo tutti fragili, tutti stavamo andando “fuori di testa”, perché in fondo nessuno lo era mai stato? Così ho deciso di scrivere in versi tutto ciò che le vite hanno in comune, le vite di tutti. I cosiddetti normali, i cosiddetti non normali, e quelli che non hanno ancora deciso o capito da che parte stare.
Al centro di queste poesie che compongono Frammenti ci sono vite diverse dalle nostre, potremmo definirle “non normali”. Ma però, per te, ad oggi, che cosa è la normalità?
Bella domanda. Sarò scontata dicendo che non esiste. Eppure, per la mia esperienza, c’è un concetto che potrebbe avvicinarcisi; è il concetto di equilibrio. Mi piace definire la normalità come la sfida che ognuno di noi compie ogni giorno nel ricercare quella chiave che aziona in perfetto equilibrio la pedana della propria giostra di cavalli bianchi, ognuno dei quali rappresenta i nostri punti di forza e le debolezze, i pregi e i difetti, gli schemi di funzionamento e di disfunzione, le risorse e le trappole, le nostre scelte e i nostri automatismi. Perché tutti ne abbiamo, di entrambe.
C’è chi questa chiave la trova. Chi no. C’è chi la trova tardi, chi presto, ma deve stare comunque attento a non perderla. C’è chi ci impiega l’intera vita. Ma la normalità, secondo me, è compiere il percorso.
Quale è stato l’arco temporale in cui sono nate queste poesie e quando hai capito che dovevano vedere la luce pubblicamente?
A dire il vero se dovessimo guardare il tempo che ci ho impiegato potremmo sicuramente dire che sono state scritte “di getto”. Forse non più di tre o quattro notti. Erano lì. Le ho solo messe nero su bianco. Per me scrivere fa parte del mio percorso verso la normalità. Per quanto riguarda invece il dargli la luce, sinceramente sono stata incoraggiata da chi crede molto in me, a volte più della sottoscritta. Ma soprattutto mi ha spinto la voglia, e secondo me la necessità, giunti a più di quarant’anni dalla legge Basaglia, di far uscire alla luce del sole certe tematiche e certe realtà ancora troppo chiuse all’interno di quattro mura.
In questi mesi abbiamo conosciuto una pandemia e vissuto un lockdown. Per noi è stato un momento in cui il tempo è andato ad un’altra velocità. Nelle persone che hai conosciuto per lavoro, come è stato visto questo momento?
Per noi che viviamo Emmaus il tempo va sempre ad un’ “altra velocità “, soprattutto per i ragazzi. Quando si entra in comunità, ad esempio, esiste un periodo di osservazione in cui vengono sospesi per 40 giorni circa i contatti con l’esterno, inclusi i familiari più stretti. Quello é uno dei tanti tempi che sono sempre infiniti. Appena entri ad Emmaus il lockdown lo vivi sempre. Che sia il 2020 o il 2019, con o senza pandemia. Lo vivi anche quando il mondo fuori continua a scorrere, senza curarsi di te.
Il lato positivo è stato quindi che, paradossalmente, noi non abbiamo accusato tanto il cambiamento dei ritmi fuori. Anzi, per una volta era il mondo fuori che andava ai nostri ritmi e non il contrario. Abbiamo potuto riposarci e prendere fiato dalla frenesia del mondo che conoscevamo. Dalla normalità come la si intende nel gergo comune. Faticosa.
Ci racconti qualcosa de La ricerca e della Comunità Terapeutica Emmaus, i luoghi da dove arrivano questi “Frammenti”?
La Ricerca è il nome dell’associazione Onlus di cui fa parte, tra le tante comunità, Emmaus. Nasce nel 1980 a partire da un gruppo di volontari guidati da Don Giorgio Bosini che si organizzano, appunto, in una vera e propria associazione con l’intento comune di trovare una risposta efficace ai problemi dell’emarginazione giovanile legata alla solitudine, al disagio e in particolar modo all’utilizzo di sostanze stupefacenti.
E così che l’Associazione, guidata dai valori di Progetto Uomo del CEIS, da 40 anni lavora per dare risposte concrete e capillari sul territorio tessendo sempre nuove reti di aiuti (centri educativi, sportelli di ascolto nelle scuole, gruppi di auto aiuto e gruppi di recupero per minorenni che utilizzano sostanze), ma soprattutto con l’istituzione di una vera e propria realtà comunitaria oggi conosciuta anche fuori regione:
– La Vela, a Justiano di Vigolzone, per tossicodipendenti
– La Casa Accoglienza Don Venturini, a Piacenza, Loc. Pellegrina, per malati di AIDS.
– La Comunità Luna Stellata, a Piacenza, Loc. La Magnana, per mamme tossicodipendenti e minori
– la Comunità Stella del Mattino: per madri e donne in difficoltà.
E, infine, la Comunità Emmaus, una comunità a doppia diagnosi, ovvero per pazienti che presentano comorbilità psichiatrica associata all’uso di sostanze. La nostra comunità si trova a Piacenza, ma è in mezzo ai campi. Abbiamo un orto enorme, di cui si occupano anche alcuni dei ragazzi, all’interno del progetto “ACcogliere”. E abbiamo una cucina altrettanto grande dove talvolta ci divertiamo anche a cucinarle le verdure che coltiviamo (anche se preferiamo i dolci!).
Abbiamo un corso di teatroterapia che svolgiamo con la guida dei fantastici Manicomics. Abbiamo vari gruppi di psicoterapia e i colloqui individuali con le due psicologhe. C’è la responsabile, lo psichiatra e ci sono le otto educatrici con cui si svolge la routine. Abbiamo le pulizie, la ricerca del lavoro, le relazioni familiari ed amicali da ricostruire, la cura del proprio corpo e del proprio aspetto, l’attività fisica e i laboratori di arte, inglese…. insomma, abbiamo una vita da riconquistare, che ha un sapore forte e nuovo. Perché abbiamo conosciuto l’amaro della paura di vederla svanire.
Nelle parole di Frammenti leggiamo, o almeno intuiamo, tante situazioni che si potrebbero definire borderline, se non addirittura quelle che quel limite lo hanno oltrepassato. Con tante storie che hai conosciuto, hai capito quand’è il momento in cui si entra nel “non posso farcela?”
Direi al contrario che chi decide di entrare in comunità (tutti i nostri ospiti sono lì perché scelgono il percorso comunitario) è qualcuno che non solo dice, ma urla molto forte, al mondo e a se stesso, invece, “io posso farcela”, “io VOGLIO farcela”. Direi inoltre al contrario che chi decide di entrare in comunità non ha sorpassato limiti, ma ricerca dei confini. Personali, relazionali. Io, quindi, posso dire di conoscere solo storie di persone che vogliono farcela. Un po’ come tutti noi. È solo un modo diverso di chiedere una mano. Perché, come dice il titolo di un libro della mia adolescenza che mi piace tanto “nessuno si salva da solo”.
Non possiamo tralasciare una parte integrante del libri, ossia le foto. Chi le ha realizzate e che cosa era significativo che apportassero a tutto il resto della pubblicazione?
Le foto che trovate in Frammenti sono state scattate da Lucia Catino, una delle due psicoterapeute che assistono i ragazzi all’interno della struttura. Le foto sono state lo “sguardo oltre” di Lucia che ogni giorno entra in contatto con i loro più profondi pensieri. E sono state soprattutto il contributo dei ragazzi a questo libro. E con loro di altre mie colleghe.
Mi piaceva l’idea che in qualche modo anche loro ne facessero parte. E sono stata molto felice che in tanti abbiano aderito senza remore. Ovviamente non compaiono i volti per un discorso di privacy. Ma l’idea delle mani non si limita a questo. La mano è l’elemento visivo che racchiude tutti i concetti portanti dietro questo libro, ma soprattutto di questo lavoro. Da un lato l’uguaglianza e l’assenza di giudizio.
Non si può capire dall’esterno quali siano le mani degli ospiti e quali delle operatrici. Proprio così come da fuori non si può capire il dentro di nessuno. Non siamo più i nostri ruoli, le nostre storie e le nostre difficoltà. Siamo oltre, tutti uguali. Tutti legittimati. E poi, il tema del contatto, fisico come un abbraccio, mentale come una chiacchierata, e relazionale come le emozioni smosse in ognuno di noi, ogni giorno, dallo scambio reciproco e dalla convivenza. Inoltre, ci è sembrato un dettaglio molto significativo anche alla luce del periodo di lockdown in cui proprio il contatto è stato quasi bandito.
In “quarta di copertina” dici che con questo libro non vuoi aggiungere ma togliere qualcosa al lettore, ossia un po’ di paura verso il “diverso”. A te invece che cosa ha portato, o magari anche a te tolto, questo “Frammenti”?
A me questo libro ha dato la conferma che la paura non è un sentimento sbagliato. Serve per porci delle domande. Tra tutte la più importante: PERCHÈ. Perché ho paura? Di cosa? E quindi apre le porte alla conoscenza da un certo punto di vista. Io avevo paura di tante cose prima di scrivere questo libro. Prima di inviarlo a qualcuno. Prima di provarci. Forse, prima fra tutte, la paura di non farcela.
Avevo paura del fallimento. E sorrido, perché è anche la cosa che più di tutti cerchiamo di insegnare ai ragazzi a non temere, ma anzi, come dico proprio in un frammento, a chiamare, invece, “seconda occasione “. Mi ha dato un po’ di fiducia in me stessa, per continuare a dare ossigeno a questa mia grande passione, e bisogno, che è la scrittura. Mi ha dato soprattutto momenti splendidi assieme alle mie colleghe, ai ragazzi e alle persone che hanno condiviso con me questo percorso.
Trovate “Frammenti” il primo libro di Elisa Vezzulli, nelle librerie di Piacenza, on line sul negozio di Officine Gutenberg e anche nella nostra sede di via Giordano Bruno 6.
Cercheremo, d’accordo con l’autrice, di presentare “live” questa raccolta di poesie il più presto possibile!
L’autrice, Elisa Vezzulli
Elisa Vezzulli nasce a Piacenza nel 1987. Da sempre studia e svolge anche più di un lavoro per volta, alla ricerca della sua strada. Nel 2013 si laurea in Giurisprudenza a Parma e inizia il praticantato. Il suo sogno è un lavoro che le permetta di aiutare gli altri, ma ben presto si rende conto che quello non è il modo che fa per lei; non è il mondo che fa per lei. Abbandona tutto senza pensarci troppo, la pratica ed il lavoro in ufficio. Si iscrive a Scienze dell’Educazione e dei Processi formativi e trova lavoro presso l’Associazione La Ricerca Onlus di Piacenza.
È così che dal 2016 presta servizio come educatrice professionale presso la Comunità terapeutica Emmaus, una struttura residenziale per adulti che manifestano comorbilità psichiatrica associata all’abuso di sostanze. Da questa esperienza, di lavoro e di vita, nasce FRAmMENTI, un piccolo spaccato di vite quotidiane al di fuori della normalità di un lavoro e di una esistenza standard.
Nel 2019 inizia una scuola per operatore psicomotricista presso l’Istituto IFRA di Bologna, nella speranza di imparare metodi sempre nuovi di relazionarsi con “i suoi ragazzi”. Nel frattempo continua a scrivere, per sé e per chi ha voglia di non ascoltare le solite storie.